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Un vorticoso giro di termica (di Marco Littamé - parte 1)

littame poggio bustone 2015Sono già trascorsi una quarantina d’anni dalla nascita del parapendio e, malgrado sia

 

 

littame poggio bustone 2015uno sport - io preferirei definirlo arte - relativamente giovane, non è stato ancora codificato un sistema di allenamento specifico. Se si disponesse, invece, di un millesimo delle finanze che girano intorno al calcio, saremmo circondati da tecnici, allenatori atletici, nutrizionisti, tattici, psicologi dello sport, trasmissioni televisive in cui vecchie glorie commentano l’ultima termica girata o dispensano consigli su speed e traversi.
Per fortuna, però, la realtà è ben diversa: circolano pochi soldini, i materiali costano sempre di più, le prestazioni e la sicurezza delle ali hanno raggiunto livelli impensabili fino a qualche anno fa e la progressione dei nuovi piloti è sempre affidata al fai da te.

Ottenuto l’agognato brevetto, di solito ci si trova davanti ad un vuoto cosmico, desiderosi di trovare una risposta alla fatidica domanda: che fare per migliorare? L’istruttore, considerato un dio in terra durante il corso, è impegnato con altri allievi e non può certo spendere tempo ed energie, dieci volte superiori al conseguimento dell’attestato di volo, per seguire un neo brevettato fino a farlo diventare un pilota completo. Sarebbe necessario un successivo corso, il cui costo, però, risulterebbe davvero esorbitante per l’impegno richiesto. Normalmente, quindi, sono le amicizie, l’ambiente e persino l’emulazione ad influenzare le successive scelte di un neo brevettato. Nella migliore delle ipotesi ci si affida a qualche corso di cross o a un SIV, poiché ultimamente pochi sono – ahimè - quanti si avvicinano alle gare.

Io, invece, ho iniziato proprio da qui: 1997, Cavallaria, Campionato regionale.
Non sono ancora brevettato, arrivo in atterraggio e ho davanti agli occhi un affollamento mai visto: decine di facce sconosciute e sorridenti che, come in un vespaio, seguono regole ben precise nella confusione generale. Mi rivolgo al mio istruttore:
’’Nik ,ma che succede?
’’Eeeeee ragazzooo oggi c’è una gara!
’’Gara????? e non me ne hai parlato prima????
Ripeto, non ho ancora il brevetto, vengo preso letteralmente a schiaffi dalle termiche, ma, insieme al mio inseparabile amico Michelangelo, mi cimento nel percorso stabilito per quel giorno dal direttore di gara. Il traverso Andrate - Cavallaria, uno dei traversi più temuti in quell’epoca, mi mette a terra, mentre Michelangelo fa tutto il percorso e arriva in goal. Senza accorgermene ero già stato contagiato dal germe della competizione: mi giravano a mille per essere stato battuto!

Sono trascorsi ben vent’anni da quel lontano giorno; è il 2017, anno per me molto difficile: perdo mia mamma e la mia secondogenita Lisa eleva a potenza gli impegni e le responsabilità familiari. Continuo a gareggiare, più per avere una valvola di sfogo che per altro; a fine stagione metto la sacca nell’armadio e cerco di dedicare le mie energie altrove: ho perso la motivazione e sono alla ricerca di un equilibrio che il volo, in questo dato momento, non è in grado di regalarmi. Ho bisogno di uno sfogo che sia più fisico che mentale.

Una sera, poco convinto e svogliato, però, mi iscrivo al circuito di Coppa del Mondo, cinque eventi tra loro indipendenti: se vai bene e ti piazzi nei primi posti hai la possibilità di accedere alla Superfinale, una gara col livello più alto in assoluto, un vero concentrato di super piloti che arrivano da tutte le parti del mondo. Io ho saltato le ultime due edizioni: il primo evento, infatti, coincideva con la nascita di Lisa, mentre il secondo, dopo tre giorni di maltempo e previsioni meteo catastrofiche, mi ha visto abbandonare la competizione per trascorrere del tempo in vacanza con la mia famiglia e, ovviamente, l’ultimo giorno di gara gli altri sono riusciti a volare dopo giorni di pioggia!

Tre mesi prima dell’evento (PWCA a Baixo Guandu in Brasile) arriva la mail di Laura, la segretaria della PWCA, che mi invita a pagare entro cinque giorni, altrimenti mi tolgono dalla waiting list. Nonostante la stagione balorda, il mio ranking, cioè il punteggio che certifica i risultati, è AA, il punteggio più alto, che se da un lato offre la possibilità di accedere a qualsiasi gara a livello mondiale senza intoppi, dall’altro obbliga a decidere per primo se partecipare o meno all’evento, pena l’esclusione.
Parlo con Federica, la mia amata compagna di vita, che ben mi conosce e sa cosa voglia dire per me gareggiare, mi sprona a pagare, ma io sono del parere opposto, non ho assolutamente voglia, ho completamente perso la motivazione. Mi dirigo verso l’armadio in cui dorme la mia vela, guardo la sacca e vedo un bicchiere mezzo vuoto, richiudo l’armadio e vado a dormire.
Tanto per cambiare non chiudo occhio, l’indomani è l’ultimo giorno per pagare, da due settimane ho un raffreddore che mi tiene compagnia e, visto che il mio lavoro mi obbliga a viaggiare molto in auto, ho brevettato un sistema alternativo al solito pacchetto di fazzoletti per soffiarmi il naso: un ben fornito rotolo di carta igienica nella levetta del tergicristallo!

Strappo due foglietti, scendo dall’auto e incontro un vecchio amico con cui giocavo a calcio. Eravamo entrambi ala destra ma con me poche erano per lui le occasioni di vedere la palla, benché suo papà fosse un mezzo dirigente della squadra; io tifavo Toro, lui Juve. Lo osservo bene, è invecchiato male: pancetta, barba bianca, cicca in bocca. Scambiamo due parole, ma non mi racconta nulla di interessante; lo saluto, mi soffio il naso ed entro in banca.
“Desidera?’’ chiede la voce oltre lo sportello.
“Devo fare un bonifico: PWCA Brasile, importo 300 euro” rispondo io.
Ho deciso!

La stagione 2018 dal punto di vista metereologico è forse, a mia memoria, la peggiore in assoluto: pochi giorni volabili, molta instabilità e, puntualmente, nel week end è brutto. Non mi piace partecipare ad una gara e non avere la possibilità di vincere. La mia non è superbia, ma se prendo parte ad una competizione, voglio poter dire la mia, a prescindere dal risultato! Nel parapendio, però, normalmente si perde, vincere è un’eccezione. È uno sport crudele: mentre uno solo festeggia, gli altri spiegano la propria debacle.
Quando salgo sul podio non riesco a festeggiare come fanno tutti, al massimo mi concedo un timido sorriso che regala al mio viso un’espressione un po’ ebete. Forse la mia è una forma di rispetto verso chi è andato male e si sforza malvolentieri di festeggiare. La gioia, però, che mi accompagna quando vinco è incommensurabile: mi sento ancora in volo mentre gli altri sono inesorabilmente a terra. Anche i tuoi più agguerriti avversari sono obbligati a pensare a te e al fatto che li hai battuti, e piloti che magari non conosci di persona incominciano a salutarti. Il top è quando ti chiedono “che vela voli?”. In quel preciso istante cominci a diventare un punto di riferimento.
Quando non vinco, ed è ovviamente la stragrande maggioranza delle volte, non manco mai di stringere la mano al vincitore, anche quando è il mio avversario più antipatico. Considero questo gesto una forma di rispetto, un atto dovuto e so bene quanto faccia piacere riceverlo. E poi, dal semplice contatto, mi sembra ogni volta di acquisire qualcosa dal pilota di turno.

Il meteo.it per il fine settimana prevede un sole privo di nuvole in mezzo al Piemonte. Controllo la differenza di temperatura tra Andrate e Borgofranco d’Ivrea, posto 400 metri più in basso. Stessa temperatura alle ore 12.00. In settimana ho visto qualche volo decente scaricato sull’XContest e ora l’alta pressione è entrata, inesorabilmente. Il sabato lavoro, ma nel tardo pomeriggio trovo un bel prato, mi tolgo le scarpe, accendo un po’ di musica e, con calma, apro la vela. Cinque mesi senza fare un solo gonfiaggio … non sono mai stato così a lungo senza staccare i piedi da terra, nemmeno quando mi sono rotto il bacino prendendo un cavo in atterraggio. Prendo un moschettone, faccio un’asola ad una pianta, metto in pari le bretelle e controllo la simmetria: tutto in ordine. Osservo il fascio, lasciandolo scorrere sul palmo della mano quasi fosse un foulard di seta, poi passo ai cordini dei freni, li stiro un po' con una trazione di circa 10 kg; la calza, che avvolge il cordino interno, a lungo andare si accorcia e quando si va a full speed anche una debole tensione dei freni compromette l’efficienza e la stabilità, per questo nelle vele da gara si usano i freni molto lunghi. Le regolazioni dell’imbrago non si sono mosse di un millimetro e trovo all’interno della seduta una cavalletta mummificata. “Chissà da dove arriva”, mi chiedo curioso. Ripiego, chiudo la sacca e torno a casa rassicurato del fatto che tutto sia in ordine, come immaginavo.

Passeggino, borsa di Luca, borsa di Lisa, borsa del cibo, ovetto, amaca, bici, bruco con le rotelle, pannolini, suocera e … la vela dove cazzo la metto? Decido di salire al Belice a piedi, non avendo molto tempo a disposizione approfitto di ogni occasione per tenermi sufficientemente in forma. Antonio Sanò di meteo.it, tanto per cambiare, ha preso una cantonata e già una decina di vele galleggiano 100 metri sopra il decollo con il cielo completamente blu- Piemonte, ovvero leggermente palliduccio. Sono senza strumenti perché li ho prestati a dei ragazzi per lo Stage Giovani organizzato con la Lega Piloti lo scorso settembre a Bassano del Grappa. Giovani e promettenti piloti provenienti da tutta Italia che hanno avuto modo di confrontarsi con piloti di alto livello in merito al mondo delle gare.
Come al solito saluto, apro e decollo. Non mi piace stare in decollo ad aspettare e, francamente, non gradisco neppure lo spettegolare gratuito che si ascolta normalmente. Non tira molto e abbandono subito i miei propositi di fare un po’ di gonfiaggi. La prima sensazione è quella di inadeguatezza: non mi sento a mio agio, la vela si muove molto e mi intimorisce. Provo subito il confronto, non avendo il vario ed essendoci termiche di valore debole, questo è l’unico sistema per capire se salgo o se scendo, tolta la prospettiva col pendio. Salgo a fatica, perdo metri rispetto al mio avversario occasionale, mi innervosisco e mi allontano. La scena si ripete più volte, col solito risultato.

Mentre ripiego la vela centina per centina, non smetto di pensare al volo appena fatto, scuoto la testa e sussurro “Son messo proprio male!”. Avevo terminato la stagione precedente in buono stato di forma, vincendo un trofeo a Sestola e riuscendo nell’ultima task a stare davanti a tutti dall’inizio alla fine della gara, cosa molto difficile. Svanito tutto, come una bolla di sapone.
Mi sento un po’ svuotato, la tensione mi ha messo a dura prova, era un po’ che non mi sentivo cosi a disagio. É da anni che volo vele da competizione, quest’ultima al confronto con alcune ali del passato è poco più di un intermedio, ma in volo ho avuto un po’ di difficoltà, e la cosa mi preoccupa. Per contro, dopo pochi secondi dall’aver staccato i piedi da terra, tutti i miei recettori propriocettivi hanno fatto festa: le mani sui comandi, il bacino, la pianta dei piedi sulla speed, il fondoschiena sulla seduta, l’olfatto, la pelle, l’udito. Si dice che volare in parapendio senza strumento sia bello perché si vola in silenzio. Per me non è cosi: la vela emette una quantità enorme di rumorini, soprattutto quando è nuova, e il cambiamento di velocità verticale e orizzontale crea refoli d’aria continui che possono dare indicazioni interessanti. Torno a casa un poco abbacchiato, ma da qualche parte dovevo pur iniziare. Mancano due mesi alla gara in Brasile!

Piove, mi sono beccato nuovamente qualche malattia che i bimbi molto gentilmente hanno traghettato dall’asilo e col telecomando in mano salto di canale in canale mezzo rimbambito. Un belloccio impomatato dalla parlantina sciolta, per l’ennesima volta, non risponde alla domanda del giornalista di turno - a scuola se sbagli tema ti becchi un bel 4! - e parla ripetutamente fino alla nausea di reddito, stipendi rimborsati, blog, movimento, ecc. il tutto condito da una quantità esagerata di avverbi. Cambio canale e qui il tema è “migranti da respingere e ruspe da usare” con un’etica fuori dal comune. Cambio ancora, ci sono proprio tutti stasera: di questo personaggio, che credo sorrida anche quando va a cagare, possiedo una maschera di carnevale, vado a cercarla in sgabuzzino, la indosso, mi guardo allo specchio e … mi hanno fregato, me l’hanno venduta con la sua faccia più vecchia di 20 anni!

Da adolescente ho sempre pensato che se anche io non fossi diventato un grande statista o uno scienziato di fama mondiale, malgrado al Liceo amassi conoscere classi sempre nuove, ci sarebbe stato in qualche modo un sistema, un’istituzione alle sfere più alte capace di garantire una certa tranquillità sociale anche agli asini svogliati come me. Invece, con il trascorrere degli anni, mano a mano che la politica in qualche modo ti si para davanti agli occhi, ti risvegli in un incubo quotidiano. Spengo la tv, mi alzo e vado a cercare ‘La fattoria degli animali', di Orwell, mi verrebbe voglia di comprarne tre copie e spedirle a ciascuno degli aspiranti premier intervistati, ma sarebbero tempo e soldi sprecati.

(continua)

Marco Littamé

nella foto l’autore dopo la vittoria a Poggio Bustone nel 2015, anno nel quale ha vinto anche la Coppa del Mondo in Brasile ed il titolo italiano

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