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Un vorticoso giro di termica (di Marco Littamé - parte 2)

littame cornizzolo esordienti pilotiUn aspetto del volo che davvero mi piace è il fatto che non puoi barare,

 

 

littame cornizzolo esordienti pilotisei quello che fai, sei da solo e non puoi nasconderti tra dei compagni di squadra, non vendi fuffa, anche se qualcuno a volte ci prova. A differenza del volo di cross, infatti, in gara le regole vanno seguite, tutti le seguono, tranne rare eccezioni. Se qualcuno imbroglia e viene scoperto, magari la passa liscia e non viene punito, ma il marchio rimane. Se si entra in cumulo e si rubano metri ai propri avversari, poi, si rimane bollati per tutta la vita per “quello che fa cumulo”, come se si fosse persa la verginità per sempre.
Anni fa a Feltre, uscendo a base cumulo, sono stato risucchiato dallo stesso per una cinquantina di metri. Eravamo rimasti non molti in volo, la task prevedeva una boa dalla parte opposta della valle, non tirava e ci siamo salvati in pochi, avevo un bel vantaggio sugli altri ed ero sicuro che nessuno dei miei inseguitori mi avrebbe visto. Uscendo dal cumulo non ho visto il terreno sottostante per pochi secondi, e benché la regola imponga di perdere quota in una zona priva di nube in modo da non prendere vantaggio, ho pensato fosse ininfluente rispetto al vantaggio che avevo, in quanto sarei riuscito ugualmente a vincere a freni tirati. Ci sono piloti che abitualmente beneficiano di metri in questo modo, è una pratica abbastanza diffusa: si rimane sulle barbule al limite del consentito e, a volte, si sfora leggermente.
Non avevo, però, fatto i conti col direttore di gara che era sotto la mia verticale e che, dopo la pubblicazione delle classifiche, mi prese da parte e mi parlò …

Mi sveglio improvvisamente nel cuore della notte, la mia psoriasi al gomito destro mi obbliga ad una grattatina veloce, preludio di un mezzo orgasmo epidermico. Domani si vola e ho in previsione un esercizio difficile, ostico, fastidioso, snervante e, apparentemente, confusionario che ad uno stage giovani di qualche anno fa ho battezzato come “uovo al tegamino”.
Nel 1996, a fine corso, siamo a far campetto a Pian dell’Alpe: Michelangelo e io saliamo sempre un poco più in alto rispetto agli altri per planare più lontano, siamo instancabili! Io sbaglio decine di decolli, la mia lussazione alla spalla sinistra obbliga il mio corpo di riflesso a chiudere il braccio in fase di trazione facendo salire la vela asimmetricamente; da lì a poco imparerò da solo a decollare alla francese. I piloti più forti del tempo si distinguono dalle pippe come me non per la vela, ma bensì per la tuta: solo se indossi la tuta da volo sei un pilotone ed io vestivo un paio di pantaloni dismessi e rattoppati, un paio di guanti da carpentiere e un kway arancione!
Durante la pausa pic-nic chiedo a Nik:
“Ma le termiche come si girano?”
“Eeeee ragazzooooo, quando senti il vario che fa bip conti fino tre e poi inizi a fare dei 360”. Lezione conclusa!
“E se il vario fa bip solo due secondi o più? E se uno come me non ha il vario?”
Devo la nascita di questo esercizio ad uno dei piloti piemontesi più forti di allora: Claudio Vigada, alias Pupillo. Un anno dopo sono a Corio, sito di volo con termiche generose e potenti. Io volo già una Nova Xion, DHV 2- 3, lui la Nova Xenon, vela da gara di punta del momento: questi sono gli anni in cui, se non precipiti e se non hai uno Xenon, non vinci! Lo Xion è la derivazione dello Xenon: più sicura e leggermente meno performante.
Dopo il corso di termica di Nik io e Michelangelo ci siamo persuasi che, trovato il valore, ci si deve avvinghiare come un’edera ad un tronco, con comandi sotto il culo per non venir sputacchiati fuori. Io sono allergico alla presenza di altri piloti, volo in modo anarchico, da solo, sempre e comunque. Noto, però, che Pupillo, a differenza di altri piloti, vola pulito, senza far compiere alla vela movimenti inutili e questo mi rassicura: posso concedergli di girare una termica insieme a me.
Ai primi due giri mi difendo bene, salgo uguale, sono un po’ teso, ma lui è a vista, gli sono leggermente dietro e posso controllarlo costantemente, non mi infastidisce la sua presenza; approfitto per osservare quanto tira i comandi e vedo il suo piede sinistro alla destra di quello destro, sintomo della gamba accavallata per far girare meglio la vela. Io chiudo sempre di più il valore e ho l’impressione silenziosa - sono ancora senza vario - che la termica sia ormai ingabbiata sotto la mia semiala destra, quando all’improvviso lo vedo allargare la virata. Per un momento ho quasi l’impressione voglia uscire dalla termica. Temo di averlo disturbato, di aver girato male, ma poi lui torna sui suoi passi e me lo ritrovo dietro più alto,
Ma che è successo? Come ha fatto? La scena si ripete ancora un paio di volte, mi prende 100 metri e se ne va. Solo parecchi anni più tardi ho parlato di questo episodio con Pupillo e gli ho confessato che per me quello è stato un momento di grande insegnamento.

In gara la maggior parte dei piloti usa volare in termica come il forte giocatore di poker, che è tale “non perché vince tanto, ma perché quando le carte non girano sa perdere poco”, segreto confessatomi da Lino, ex giocatore siciliano di poker professionista. Soprattutto quando si formano gruppi numerosi si tende a rimanere nel gruppo senza prendersi rischi, limitandosi a controllare i propri avversari. Spesso ho fatto la differenza proprio in questi momenti, allargando il giro al momento giusto o chiudendo il giro quando possibile e consentito; agire in questo modo, però, è difficile, perché la presenza di molti piloti limita il raggio di azione e se si sbaglia, il prezzo da pagare sono i metri regalati ai propri avversari. Ma è questo l’unico modo di prendere vantaggio in quei momenti. Ormai tutti salgono bene, le vele si equivalgono e la differenza si fa sulle sfumature, sui piccoli dettagli, sulle irregolarità giro su giro. A me viene naturale farlo, sono semplicemente abituato a farlo, e salire forte in termica è la regola numero 1 in gara.

Tanto per cambiare la giornata è stabile, il decollo del Belice non si allontana mai se non quando lo si vede dal basso e ciò obbliga a recuperi in zona rossa a rischio buco. Appena guadagno un poco di quota, allargo, cerco il margine, lo sporco, la zona no limits, l’albume insipido e ricco di proteine, per poi tornare velocemente, dopo un paio di giri, a godermi il centro della termica, con la sua ascendenza più regolare, più corposa, il rosso d’uovo, il tuorlo più saporito, ricco di grassi e colesterolo. Sono ancora senza vario e questo rende l’esercizio certamente più difficile, ma più efficace. Vedo la vetta del mio Everest lontanissima: devo ancora arrivare al primo campo base.

Luca, il mio primogenito, è un bimbo dolce e riflessivo, se ti incontra per la prima volta rimane in silenzio, incrocia il tuo sguardo, ti legge l’anima e ti giudica: buono o cattivo! É cosi che si dovrebbero dividere gli esseri umani, non neri e bianchi, ricchi e poveri, migranti e oriundi. I bambini non sbagliano mai! A differenza di Federica, non ho letto nessun libro sull’educazione dei bambini, mi affido molto spesso al famoso aforisma di Socrate: “i bambini crescono meglio con un po’ di fame e un po’ di freddo”. Se mio figlio cade, non lo aiuto ad alzarsi, ma gli spiego come cadere senza farsi male e magari, come mi ha insegnato il mio carissimo amico Gianni, dopo gli faccio anche lo sgambetto per vedere se ha appreso l’insegnamento.
Dechatlon, reparto bici, vado avanti e indietro e finalmente mi decido a chiedere ad un ragazzo munito di targhetta:
“Scusi, ma le bici senza rotelle per bimbi di 3 anni e mezzo dove sono?”
“Mi spiace, di solito i bambini imparano ad andare in bici dopo i cinque anni!”, risponde il gentile commesso.
“Il di solito mi infastidisce”, rispondo io
“Scusi?”, incalza lui
“Niente, era tanto per dire”, concludo io, lapidario.

Anche il modo di dire “prima o poi” mi infastidisce. Se lo dici sei già in ritardo: viviamo 2/3 della nostra età, 1/3 lo utilizziamo per dormire - io molto meno! - senza pensare a tutto il tempo inutile che sprechiamo durante la giornata. Non puoi prevedere cosa ti succederà domani e se la vita ti si mette di traverso sei fottuto: game over!
Mi allontano dal “di solito i bambini imparano ad andare in bici dopo i cinque anni” e faccio una telefonata per confrontarmi e prendere una decisone:
”Fede la bici più piccola è per bambini dai 5 anni in su ed effettivamente è un po’ grande. Che faccio?”
’’Tanto lo so che la compri lo stesso”, risponde serafica Federica
“Ok, ci vediamo a casa!” e chiudo la conversazione con un mezzo sorriso.

Ho un poco di timore a far salire Luca su una bicicletta così grande, ho paura si possa spaventare. La scorsa estate, per una minima distrazione, è finito nell’acqua alta, probabilmente è finito sotto, ha bevuto e da allora vive la piscina con un po’ di timore, era lì lì per imparare a galleggiare … Quando cerca di salire sulla bici mi ricorda un uomo che tenta di salire a cavallo senza staffe! A cena mangia con appetito, il cerotto colorato per guarire dalla bibi sul gomito destro e l’altro, un po' più grande, sul ginocchio vivacizzano il suo corpicino esile. Alla terza spinta aveva pedalato per 10 metri, era caduto, aveva pianto, si era rialzato e mi aveva chiesto di riprovare: ormai era fatta!
Due giorni dopo ci svegliamo un poco prima del solito, casco in testa, e affrontiamo a muso duro marciapiedi, strade, passaggi pedonali e soprattutto auto sfreccianti di primo mattino: ben un chilometro e mezzo di giungla cittadina. Quando Luca entra nel cortile dell’asilo sembra un gladiatore che ha appena combattuto con tigri e leoni, una macchiolina rossa gli compare sul pantalone all’altezza del ginocchio sano e gli occhi cercano il consenso dei bimbi, suoi compagni di giochi, ma il cortile è deserto, sono le 9,15 e sono già tutti in classe. Ci sono solo io ad osservarlo, mi commuovo e sussurro “ti amo” con gli occhi gonfi di lacrime.

Una sera qualunque il telecomando della tv si è trasformato in un gratta e vinci vincente. Finalmente qualcuno che dice cose sensate, usa correttamente i congiuntivi e, soprattutto, parla di sport senza ovvie banalità: Julio Velasco. Argomento: metodi di allenamento. Negli anni 2000, da perfetto sconosciuto, allenò la Nazionale Italiana di pallavolo e vinse tutto; in precedenza la squadra non aveva vinto mai nulla. Mi colpì in particolar modo l’applicazione della regola del minor sforzo, e la teoria degli alibi. La prima spiega che si è inclini in qualsiasi attività umana a utilizzare il sistema più semplice e meno dispendioso per ottenere un risultato. Nei suoi allenamenti l’aveva stravolta e ribaltata, diventando un dogma per i suoi giocatori. La seconda obbliga ciascun componente ad assumersi le proprie responsabilità, a prescindere dal comportamento dei compagni di squadra. I fatti gli diedero ragione e, oltre a vincere tutto, negli anni a venire molti allenatori seguirono la sua impronta.
Anche se apparentemente agli antipodi il passo dalla pallavolo al parapendio era presto fatto. Feci mie le sue teorie. Ho incominciato a considerare il volo da puro piacere a vera e propria sessione di allenamento: avendo sempre meno tempo a disposizione non avevo alternative!
In decollo finalmente incontro il mio amico Scialla, alias Davide Cassetta. La giornata è buona, tutto l’arco alpino è accompagnato da cumuli con base intorno ai 1800 metri. I patiti di XC sicuramente hanno macinato già qualche km. A me non piace fare cross, mi annoia e, a volte, mi snerva. Ho un’autonomia di un’ora e mezza, poi non vedo l’ora di atterrare e fare altro. Potrei, invece, gareggiare tutti i giorni. Oppure mi esaltano le sfide al limite dell’impossibile, godo come un riccio quando la gravità mi chiama e giro una bolla a 50 metri da terra.
Ma oggi è giorno di allenamento.
“Finocchio - è il nostro modo amichevole di chiamarci- andiamo a Candia?- domando io entusiasta.
“Minchia Marco, ma sei sempre il solito, ci sono i cumuli in montagna e tu orcozzzzzio vuoi andare in pianura!”, risponde, come sempre, Scialla.
Non gli rispondo, apro, decollo, faccio base e plano di fronte a me verso una termica invisibile.
Volare in pianura mi piace: non hai punti di riferimento e in mancanza di cumuli devi sentire l’aria, non puoi permetterti alcuna distrazione.
Per circa mezz'ora rimango a gironzolare di fronte al decollo: c’è una buona instabilità e anche con termica blu non è difficile spostarsi. Verso Corio il vento in quota da Nord Ovest decide ad un certo punto di dire la sua, accarezzando i cumuli in cresta e provocando una vasta area d’ombra. Sorrido, pensando ai divoratori di km che, ringraziando un paio di santi in paradiso, girano i tacchi di 180’ e tornano sui loro passi. Io non perdo l’occasione e tento il suicidio: mi ci tuffo a piè pari!
Situazioni del genere sono abbastanza frequenti in Brasile. Immediatamente le ascendenze si prendono una pausa per ripresentarsi dopo un poco sotto un'altra veste, più dolce e incostante. Sopravvivo per circa un'ora e il coraggio mi premia con due salvataggi miracolosi: il primo costringendomi a rimettere le gambe all’interno dell’imbrago - ero ormai in fase di atterraggio- ubriacandomi di 360’ senza fine per guadagnare 300 metri con uno scarroccio di 2 km; il secondo obbligandomi per cinque minuti ad una dinamica su un boschetto di conifere condita da un profumo di costine alla brace.
Quando atterro il verso che mi esce spontaneo è lo stesso di quando una bella ragazza ti passa a fianco, tu fai una virata di 180’ come i crossisti imprecanti per l’ombra non prevista, la tua testa fa un'inclinazione di lato e la tua bocca si socchiude in segno di approvazione.

(continua)

Marco Littamé

nella foto l’autore in primo piano a destra durante il briefing al raduno piloti esordienti al Cornizzolo

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